L’ansia: la paura senza contenuto
- Alessandra Paganelli
- 30 set 2018
- Tempo di lettura: 4 min

L’ansia è uno stato interno di cui tutti noi facciamo esperienza anche se in misura e con frequenza molto variabile. L’ansia è un fenomeno complesso, associato alla percezione di pericolo, avvertita come la sensazione di attesa di qualcosa d’indefinito e spiacevole, una sorta d’incombenza minacciosa, che ci attiva un comportamento di attacco o di fuga, che tenta di eliminare il pericolo o di evitarlo.
La presenza di ansia aumenta la nostra performance, migliora la qualità del nostro lavoro, mentre l’eccesso di ansia produce effetti negativi sulle prestazioni che decrescono progressivamente fino al punto di massima ansia che porta all'impossibilità di ogni prestazione, alla paralisi.
Entro certi limiti l’ansia quindi è utile, anzi necessaria, ma cessa la sua funziona positiva quando diventa disfunzionale e condiziona la nostra vita lavorativa, sociale e relazionale.
Mentre nella paura riusciamo a identificare chiaramente lo stimolo minaccioso esterno, nell’ansia a volte fatichiamo a riconoscere cioè che rappresenta un pericolo per noi. L’ansia si manifesta, quindi, come una paura senza contenuto, che si esprime attraverso il linguaggio del nostro corpo, con palpitazioni, respiro rapido, vertigini, nausea, sudorazione, oppressione toracica, confusione, … che possono diventare a loro volta fonte di preoccupazione. Quando lo stato d'ansia è prolungato, infatti, questi sintomi possono sembrare una malattia, ma in realtà sono sensazioni spiacevoli, fastidiose, che però non sono pericolose e se ne andranno. Le situazioni che evocano ansia non sono oggettivamente pericolose, ma evocano pensieri automatici, a volte inconsapevoli, che sono per noi minacciosi, per la nostra identità, per le nostre credenze.
Ad esempio, una richiesta di prestazione può evocare il pensiero “Non ci riuscirò mai” che rimanda alla credenza “Non posso fallire” o “Se fallisco non valgo niente”. Un’interpretazione della situazione di questo tipo, che porta ad immaginare di mettere a repentaglio non solo la propria performance ma l’idea che abbiamo di noi stessi, genera una reazione di paura e ansia. In questo caso il pensiero sottostante potrebbe non essere realistico o non utile all’obiettivo che si vuole raggiungere. Inoltre tanto più ci si turba, quanto più i suoi sintomi diventano esagerati e si è coinvolti in un circolo vizioso di sofferenza emotiva e fisica che cresce sempre più d’intensità, che influisce sulla prestazione o ci porta ad evitarla, non mettendola in atto.
Questi pensieri e immagini accompagnano automaticamente l'esperienza dell'ansia e sono solitamente concentrati sul futuro: "Sarò licenziato"; "Farò la figura dello stupido e sarò umiliato"; "Potrei essere rifiutato"; "Non sarò all'altezza"; "Morirò di un infarto".
Di fronte a questo disagio, anche piuttosto comune, la terapia cognitivo comportamentale ha suggerito che l’identificazione di questi pensieri connessi all’ansia e la loro riformulazione in modo più aderente alla realtà, determina una modifica dell'ansia. Vediamo nell’esempio come il metodo cognitivo può aiutare una persona che vive queste difficoltà:
Un giovane vuole chiedere un appuntamento ad una ragazza. Ma ogni volta che ha l'opportunità di farlo, spuntano i pensieri ansiosi: "Lei penserà che sono ridicolo ad essere tanto nervoso. Mi scaricherà ed io mi sentirò tanto stupido che ... ci rimarrò tanto male che ci piangerò. Povero me!". Durante l'incontro via via che questi pensieri affluiscono alla sua mente, anche in modo inconsapevole, la sua gola si stringe, la sua bocca si secca e non gli esce una parola anche se ci prova. L’opportunità di un appuntamento se ne va, ed il giovane adesso odia se stesso per aver di nuovo fallito. "Sono un perdente", pensa.
Come la terapia cognitivo-comportamentale può aiutare questo giovane?
Attraverso la terapia si può imparare ad applicare le proprie capacità di ragionare e di osservare alle situazioni che nella vita causano ansia. Come in una ricerca scientifica, il paziente, come maggiore esperto della propria esperienza soggettiva e il terapeuta, come specialista del metodo di osservazione e cura, analizzano scrupolosamente, come “a rallentatore”, i comportamenti, i pensieri e le emozioni che accompagnano quell’episodio di vita.
Pensieri, emozioni e comportamenti sono connessi gli uni con gli altri e si influenzano reciprocamente. Se un individuo si pensa un fallito, automaticamente darà come input al proprio corpo questa immagine di sé, si percepirà in uno stato di allarme, in cui il prestare troppa attenzione al proprio comportamento, molto probabilmente gli farà perdere naturalezza e spontaneità e lo farà fallire.
Con l’aiuto del terapeuta il paziente imparerà ad elicitare i propri pensieri e gradualmente ad acquisire consapevolezza della mappa mentale attraverso cui guarda e si relaziona con l’ambiente e a modificarne le distorsioni delle sue credenze. Attraverso tecniche di rilassamento imparerà ad ascoltare il proprio corpo e ad esercitarsi sul come rilassarlo, in modo da riconoscere i suoi stati interni. Più il paziente imparerà ad integrare tutti questi aspetti della sua esperienza più riuscirà a vivere le situazioni che elicitavano ansia con una minore attivazione sensoriale, sperimentare che l’esito temuto non è poi così probabile e percepirsi più efficace e capace di comportarsi con naturalezza e raggiungere i propri obiettivi.
Bibiliografia
S.Lenzi, M. Giannantonio, Il disturbo di panico
A. Wells, Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia
F. Galassi e altri, La libertà imprigionata
Комментарии